lunedì 26 aprile 2010

Perchè il Sud non dovrebbe festeggiare i 150 anni dell'Unità D'Italia

Quello che sto per scrivere non va a mischiarsi con il chiacchiericcio leghista che ha invaso i media ultimamente. Nulla a che vedere con la loro tradizione stantia e squallida di essere anti patriottici,campanilisti,ignoranti. La mia intenzione è quella di sollevare il velo di maya che per troppo tempo è stato lasciato sui nostri occhi. Bendati:noi calabresi,noi siciliani,noi pugliesi,noi napoletani, noi cittadini del sud. Quella che stiamo per festeggiare non è l’Unità di un paese bensì il predominio di una popolazione su un'altra. Questi Mille osannati e santificati non si presentarono da noi come compatrioti bensì come conquistatori. In nome di questa Unità d’Italia i meridionali furono incarcerati senza accusa, senza processo e senza condanna. Il paesaggio del Sud divenne terra bruciata con fucilazioni di massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia. Quasi nessuno sa che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud. Questi Mille non erano altro che avanzi di galera. A questa Italia unificata imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla. Nessuno sa che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo. Nessuno sa che la prima “Italia” della storia fu un pezzo di Calabria sul Tirreno. Il Sud è stato privato delle sue istituzioni; fu privato delle sue industrie, della sua ricchezza, della capacità di reagire; della sua gente ( con una emigrazione indotta o forzata senza pari in Europa); infine, con un’ operazione di lobotomia culturale, fu privato della consapevolezza di sé, della memoria. Noi non sappiamo più chi fummo. Ed è accaduto come agli ebrei travolti dall’Olocausto(un milione di meridionali furono sterminati dalle truppe sabaude): molti scampati ai lager cominciarono a domandarsi se il male che li aveva investiti non fosse in qualche modo meritato. Lo storico Ettore Ciccotti parlo di “una specie di antisemitismo italiano” nei confronti del Sud. Quel che gli italiani venuti dal Nord ci fecero fu così spaventoso, che ancora oggi lo si tace nei libri di storia e nelle verità ufficiali; si tengono al buio molti documenti che lo raccontano. Una parte dell’Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire e depredata dall’altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi. La Lombardia “era troppo era troppo piccola per alimentare un sufficiente mercato interno di scambio, e troppo debole per praticare una politica di espansione industriale fuori dei suoi confini, qualunque fosse l’aiuto dello stato” scrive Luigi De Rosa, in La rivoluzione industriale in Italia. “Non molto migliori risultavano le condizioni industriali del Veneto, e così quelle della Liguria.” Il Sud fu unito a forza, svuotato dei suoi beni e soggiogato, per consentire lo sviluppo del Nord. Non siamo un paese, perché è mancata, dopo il Risorgimento, dopo il fascismo, la civilità di esaminarsi e giudicarsi. “Della speme hai fatto strame/tu ci hai dato pianto e fame/ non fa niente: viva il re!” si cantava al Sud, nel 1861. La nostra è storia di crimini impuniti per ragion di stato. E questa assuefazione all’impunità e al sopruso ha una connotazione pure geografica, ha generato un’idea di cittadinanza minore, rassegnata a tollerare, se a proprio danno, quel che per altri è intollerabile. Il Sud divenne terra desolata: corpi lasciati e imputridire in piazza, altri carbonizzati nelle decine di paesi arsi, colonne vaganti di decine di migliaia di profughi, formazioni militari e paramilitari che inferivano, ognuno combattendo la propria guerra: briganti, guerriglieri, soldati savoiardi, milizie private di possidenti filo-piemontesi e di possidenti filo-borbonici,carabinieri,camorristi promossi poliziotti e giustizieri,guardie nazionali,gruppi cittadini “volenterosi” e contadini inferociti. Decine di migliaia di soldati borbonici sono internati in campi di concentramento al nord, il più infame a Fenestrelle, una fortezza a una settantina di chilometri di Torino, su un costone roccioso a oltre 1.200 metri d’altezza, battuto da venti gelidi: la vita media degl’internati non superava i tre mesi; per garantire ulteriore tormento ai prigionieri furono divelte le finestre dei dormitori.Ai napoletani si chiedeva di rinnegare il giuramento alla loro patria e servire Vittorio Emanuele. Pochissimi lo fecero; gli altri preferirono patire (“tutti coperti di rogna e verminia” scrisse La Marmora, che tentò invano di convincerli, irritato dalla loro “avversione”). Perché questo scempio?Semplice. Il Piemonte era pieno di debiti; il Regno delle Due Sicilie pieno di soldi. Al Sud un terzo della popolazione totale, c’era in giro il doppio dei quattrini che nel resto d’Italia messo insieme? “O la guerra o la bancarotta” scrisse il deputato cavouriano Pier Carlo Boggio, nel 1859, nel libretto Fra Un Mese. “L’ex Regno delle Due Sicilie quindi,” scrive Vittorio Gleijeses ne La Storia Di Napoli “sanò il passivo di centinaia di milioni di lire del debito pubblico della nuova Italia e per tutta ricompensa, il Meridione, oppresso dal severissimo sistema fiscale savoiardo, fu declassato quasi a livello di colonia.” Io non festeggerò l’Unità d’Italia perché prima di essere Italiano sono meridionale. Ed essere Meridionale, essere Calabrese è ben diverso che essere Italiani, ancora oggi, forse oggi più di prima. Mi vestirò di nero in segno di lutto quel giorno. Invito anche voi Calabresi, anche voi Sicilia, anche voi Napoletani, anche voi Pugliesi e cosi via abbiate dignità: Chiudete i negozi. Inclusi quelli dei generi alimentari. Chiudete i ristoranti, i bar, i mercati. Chiudete i teatri, i cinema, le farmacie. Chiudete tutto, abbassate le saracinesche,le tapparelle, sigillatevi in casa e metteteci un cartello con su scritto a lettere cubitali «Chiuso per lutto» . Non lasciamoci offendere ancora una volta da questa pagliacciata che chiamano Unità D’Italia.

Simone P. Alliva

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao a SIMONE sono LELLO di PARIGI,bravo condivido bene questo articolo;continua sempre cosi sulla direzione giusta, ciao abbracci