martedì 9 agosto 2011

La rabbia di Londra



Non ha giustificazioni chi fracassa, devasta e appicca incendi. Ma qualcosa deve farci riflettere. C’è una rabbia generazionale che sta attraversando l’Europa, il Mondo: dopo la Parigi del novembre 2005, dopo l’Atene del dicembre 2008, ed a poche settimane dalla San Francisco del luglio 2011 adesso è la volta di Londra. È da una scintilla che scaturisce l’incendio: giovedì scorso alcuni agenti hanno fermato un “minicab” – un taxi privato – nel quartiere di Tottenham, all’imbocco del Ferry Lane Bridge, nel corso di un’operazione contro il possesso illegale di armi. Quello che è successo esattamente è al centro di un’inchiesta: secondo la polizia c’è stato uno scontro a fuoco e qualcuno ha sparato contro gli agenti che hanno risposto con due colpi, uccidendo Duggan. A conferma del fatto che erano stati attaccati, gli agenti hanno citato un proiettile entrato nella radio trasmittente di un agente e un’arma raccolta sul posto. La versione è stata però contestata da alcune testimonianze raccolte dai giornali, per cui Duggan – 29 anni, 4 figli, nero, pregiudicato, abitante nel vicino complesso popolare di Broadwater Farm – sarebbe stato a terra o immobilizzato quando è stato ucciso. I parenti di Duggan hanno sostenuto di escludere che avrebbe mai sparato contro la polizia.Ma soprattutto, domenica sera il Guardian ha scritto di essere in possesso di informazioni per cui il proiettile nel cruscotto proverrebbe da un’arma della polizia. Sabato nel tardo pomeriggio una folla si è radunata nel centro di Tottenham, quartiere nel nord di Londra, per protestare contro l’uccisione di Duggan e contestare la versione della polizia. Diventa una gigantesca e pacifica manifestazione di giovani che si staccano le nutrite milizie della guerriglia urbana e si scontrano con la polizia in tenuta antisommossa (che, quasi impreparata a sostenere l’urto, reagisce con altrettanta violenza).Sono adolescenti e ragazzi poco più grandi, maschi e femmine di tutte le razze. L’unica cosa che sembrano avere in comune è fare parte di classi sociali disagiate. E’ questa reazione è il risultato di anni in cui i loro bisogni e le loro necessità sono state bellamente ignorate, prima dai Laburisti e ora dal governo della coalizione tra Tory e LibDem.Una reazione alle politiche restrittive dei governi che alimentano povertà, mancanza di lavoro, tensioni razziali, vessazioni della polizia. A Londra i recenti tagli hanno colpito i servizi sociali, ridotto i luoghi di aggregazione giovanili, indebolito la polizia e la sua autorità. Nel frattempo i politicanti ,che hanno trascinato una generazione nel baratro, rispondono con l’inadeguatezza e l’arroganza più cieca :“sentiranno la piena forza della legge”ha affermato il primo ministro Cameron. Londra brucia ma di rabbia. Brucerà ancora per i prossimi giorni, poi la polizia in tenuta antisommossa riuscirà a domarla questa rabbia ma difficilmente riuscirà a soffocarla,spegnerla. Chi vive a Londra, costretto fra le mura della sopravvivenza quotidiana lo sa. Londra da qui indietro non torna


giovedì 14 aprile 2011

Quello che succede vicino casa nostra e che non dovevamo sapere.

In Italia la libertà di stampa è al 72esimo posto nella classifica mondiale. E' un dato di fatto. Una stampa "parzialmente libera". Non sappiamo quello succede dentro il nostro paese figuriamoci quello succede ai nostri vicini. Corre l’obbligo di rilanciare qual minimo di verità nascosta dalla censura di governo, e lo facciamo, anche se serve a poco vista la possibilità di raggiungere un pubblico da “zero virgola” mentre l’informazione ufficiale continua a divulgare la realtà virtuale di un paese che non esiste.Sarebbe necessario informarsi su quello che succede ai margini del nostro paese. Oggi l'Italia non annuncia -come in passato- ma riflette le disgrazie che avvengono prima in altri paesi. Ed è questo un lavoro un po' pretenzioso ma di facile lettura che aiuta a capire quello che sta succedendo vicino casa nostra.



Albania: nessuno ne parla. Allora basterebbe cliccare su Google News e in pochi minuti scopriamo che:in Albania vi sono continui scontri e la situazione è tesa per le elezioni che si terranno l’8 Maggio. L’OCSE “si augura che ci siano libere elezioni”, il che significa che molto probabilmente non ci saranno, ma niente paura! Si sta procedendo con le privatizzazioni e le banche fanno il +89% di profitti, con tanti complimenti dall’Unione Europea.

Algeria: ci sono ancora proteste, ma questa analisi del Washington Post dipinge una situazione molto, troppo simile alla nostra… movimenti scollegati tra loro che non riescono a fare fronte comune. Quest’altra analisi invece pone l’accento sul trauma e sul bisogno di pace dopo tanti anni di guerra civile. Al-Jazeera ha una timeline delle proteste.

Arabia Saudita: continuano le proteste. Per i diritti umani, per i salari bassi, ma soprattutto da parte di shiiti che protestano contro l’intervento in Bahrein

Bahrein: un membro importante dell’opposizione è morto mentre era in custodia della polizia.

Egitto: Mubarak finisce in ospedale per un malore. Esattamente com’era successo a Ben Ali. Vediamo quanto dura. Nel frattempo, un blogger 26enne è stato condannato a 3 anni di galera da un tribunale militare per un post in cui diceva che l’esercito ed il popolo non erano mai stati veramente uniti.

Emirati Arabi (U.A.E. in mappa): arrestati due attivisti (uno dei quali è un professore alla sede della Sorbona in Abu Dhabi) che chiedevano riforme costituzionali. Nel frattempo erano state prese misure economiche per ingraziarsi la popolazione, vedremo se funzioneranno.

Giordania: continuano le proteste. Qualche giorno fa c’è scappato il primo morto (e 120 feriti, diciamo che non sparavano in aria).

Grecia: i sindacati organizzano uno sciopero per Maggio.

Iran: continuano le proteste. Contro il governo, ma anche a favore del Bahrein (e contro l’intervento saudita nel paese)

Iraq: c’è la guerra. Da 10 anni. Per abbattere il tiranno Saddam e portare la democrazia. Pare non abbiano gradito molto l'importazione della libertà (quasi fosse un pezzo di cioccolata) e della democrazia imposta con gli eserciti

Kuwait: il governo si è dimesso in massa, ma è stato rinominato lo stesso primo ministro. Le proteste sono soprattutto a carattere religioso tra sciiti e sunniti, ma ci sono anche i “beduini” che reclamano la nazionalità. Nel frattempo, la marina è diretta in Bahrein.

Libano: la situazione è tesa da Gennaio. La stampa americana sembra cominciare a fare campagna per proteste anche in Libano (turisti rapiti, stop all’esportazione di armi).

Libia: in Libia c’è la guerra. Oggi le chiamano missione di pace, quindi è così: in Libia è in corso una missione di pace.

Marocco: la BBC scrive che le proteste sono all'ordine del giorno.

Oman: continuano le proteste e, purtroppo, i morti.

Costa d’Avorio: la situazione è difficile. Non stanno protestando per la democrazia, ma per i risultati delle elezioni. Basta leggere qui per farsi un idea.

Palestina: le Nazioni Unite dicono che la Palestina è in grado di governarsi da sola

Siria: si continua allegramente a sparare sui manifestanti. Bloomberg titola “la Siria giura di schiacciare i manifestanti”. Ottimo.

Swaziland (non in mappa): proteste contro il Re, monarca assoluto che ha bandito i partiti e le elezioni da 38 anni.

Yemen: a migliaia hanno protestato contro una proposta di chiudere la crisi garantendo, però, l’immunità al presidente Saleh (mi ricorda qualcuno).