martedì 19 ottobre 2010

La donna uccisa del giorno è...


La donna uccisa del giorno è Lea Garofalo, 35 anni,sciolta nell'acido. Non è cronaca nera, quella di Lea è semplicemente espressione di qualche cosa che noi italiani conosciamo molto bene.Di quella criminalità che punta in alto, guarda lontano, e non si ferma davanti a nulla. Il nostro è un popolo malato ed è l'abitudine il nostro male:l'abitudine è la più infame delle malattie perchè ci fa accettare qualsiasi qualsiasi morte. Per abitudine si impara a portar le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si a tutto.

Lea era una collaboratrice di giustizia,sorella di Floriano Garofalo, un pregiudicato ucciso in un agguato l’8 giugno del 2005 nella frazione Pagliarelle. Floriano Garofalo, 40 anni, che era ritenuto il capo dei una cosca attiva a Pagliarelle, venne rincorso e ucciso con tre colpi di fucile che gli spappolarono la testa tanto da renderlo totalmente irriconoscibile. Diventata collaboratrice di giustizia nel 2002, Lea aveva iniziato a parlare con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro rendendo dichiarazioni ritenute utili alle indagini; era stata quindi ammessa, unitamente alla figlia, all’epoca ancora minorenne, avuta dal concivente Carlo Cosco, ad un piano provvisorio di protezione e trasferita a Campobasso. Programma che successivamente le era stato revocato il 16 febbraio 2006 per essersi allontanata dalla località protetta. Dopo un suo ricorso respinto dal Tar, il Consiglio di Stato aveva disposto il reintegro nel programma di protezione, ma lei aveva rinunciato dopo pochi mesi ed era tornata a Petilia Policastro dove nella sua abitazione venne attivato un servizio di vigilanza radiocontrollata.Dopo un pò di tempo aveva deciso di tornare a Campobasso ritenendola una città tranquilla.

È morta così Lea:caricata su un furgone, il suo corpo è stato sciolto ancora vivo in circa cinquanta litri di un acido altamente corrosivo, perché la sua morte non lasciasse tracce.

Una storia da fiction vero?Non inorridite, non ne parlerà nessuno. La morbosità terrificante della storia di Sarah Scazzi e suo Zio Michele Misseri ci è entrata dentro, ha soppiantato Cogne e Novi Ligure, Perugia e Garlasco. Alberto Stasi è un figura indefinita è lontana, e Amanda Knox, chi la ricorda più? Lea non è mai stata una star. I nuovi divi sono Sabrina Misseri e il padre Michele. Abbiamo visto personaggi muoversi sempre più disinvolti davanti alle telecamere, diventare protagonisti di qualsiasi programma andasse in onda. Fino alla scelta dell’assassino di dire alla giornalista di “Chi l’ha visto?”: «Mi portano in caserma, ma voi state pure qui, a casa mia». Mai rinunciare a un ruolo di protagonista.

Eppure quella di Lea è una storia che avrebbe tutti gli elementi per alzare un polverone mediatico, con speciali di Barbara D'Urso,Studio Aperto e quant'altro. Questa di Lea Garofalo ha per teatro Monza, poi uno dice che le mafie sono al Sud, il nord padano non vuole avere a che fare con quei criminali, secessione, federalismo. È una storia di famiglia, come quella che piace tanto agli amanti del macabro che momentaneamente sono appostati di fronte alla residenza Scazzi, Lea è stata sciolta nell'acido chissà quando e lo sappiamo oggi, dal padre di sua figlia l’ex compagno Carlo Cosco, si era assunto il compito di regolare i conti nei confronti della donna che la ‘ndrangheta riteneva troppo informata di alcuni delitti commessi sia da lui che dalla sua famiglia. Chiamata proprio dal suo ex convivente con un pretesto che usava la loro figlia Denise, Lea si recò a Milano per portarla a rivedere il padre, che si era detto ansioso di riabbracciarla.Invece è stata dissolta:letteralmente.

Milano e la Lombardia sono il caso emblematico della ramificazione molecolare della 'ndragheta in tutto il Nord,(come conferma la Relazione della Commissione Parlamentare Antimafia sula 'ndragheta, approata all'unanimità il 19 febbraio 2008). Un Nord dove dal 2000 nessuna indagine approfindita di impulso parlamentare si è occupata degli insediamenti mafiosi nonostante sia statoinvestito da grandi processi di trasformazioni economici e sociali, di deindustrializzazione di intere aree e periferie urbane. Le 'ndrine sono state in grado di recuperare il terreno perduto gazie a una strategia operativa che ha avitato manifestazioni eclatanti di violenza, attuando un'infiltrazione ambientale anonima e mimetica tale da destare minor allarme sociale.
Non ne parlerà nessuno. Ma se si vuole cambiare qualcosa nel nostro Paese sarà bene fare conoscere chi lavora fuori dai riflettori, in situazioni difficili e rischiose.


I pentiti in Italia sono 3.853 ; 800 sono i collaboratori di giustizia, 2.763 i loro familiari. Ci sono poi i testimoni, 67, e i loro parenti, 233. I minori sottoposti a misure di tutela sono 1.230.
Degli 800 pentiti ufficiali, 270 sono ex appartenenti alla camorra; seguono quelli di mafia (238), ‘ndrangheta (97) e sacra corona unita (83). Le donne sono 36. Secondo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, si legge sul Secolo XIX , alcune modifiche apportate negli ultimi anni alla legge sui pentiti hanno “disincentivato” le collaborazioni.
In primo luogo la misura che prevede, per i pentiti, l’obbligo di segnalare tutti i loro beni affinché siano sottoposti a sequestro, mentre ai mafiosi “in attività”, sottilinea il procuratore, vengono sequestrati solo i beni per i quali non viene dimostrata la provenienza lecita. Altrettanto negativo secondo Grasso è il limite temporale (180 giorni) entro cui un pentito deve raccontare tutto quello che sa: “serve tempo ai magistrati per riscontrare le dichiarazioni che, spesso, riguardano un lungo periodo di anni.” L’altra critica mossa da molti addetti ai lavori alla legge 45 del 2001, riguarda la distinzione tra conviventi del collaboratore e tutte le altre persone a lui vicine. Per quest’ultime la concessione della protezione viene subordinata all’esistenza di grave ed attuale pericolo. In un ambiente in cui le vendette trasversali non sono certo una rarità.


Come diceva Falcone: la mafia viene conosciuta per quello che è solo quando i pentiti cominciano a parlare.
Molti non lo capiscono ma in una città abituata ai silenzi timorosi della maggioranza, ai patti di omertà e alle mistificazioni politiche, il semplice dire le cose come stanno fa l'effetto di una bomba. Ci pensi Barbara D'Urso,magari volesse dedicare un pò di spazio alla storia di Lea e alle altre 3.853 storie che aspettano una voce.