martedì 15 maggio 2012

Romanzo di una strage

Piazza Fontana, Milano, 12 dicembre 1969. L’esplosione di una bomba devasta la Banca Nazionale dell’Agricoltura, provocando 17 morti e 84 feriti, e inaugurando di fatto l’inizio della ‘strategia della tensione’. A condurre le indagini, che si orientano subito verso la pista anarchica, sono il commissario Luigi Calabresi e i suoi superiori, Marcello Guida e Antonino Allegra. Tra i primi fermati c’è il ferroviere Giuseppe Pinelli. Il resto è una storia italiana che dopo 35 anni, undici processi e quattro procedimenti arrivati in Cassazione ha riconosciuto la colpevolezza degli autori materiali: la destra neofascista veneta– i neofascisti Freda e Ventura – ma non ha ancora gettato una luce chiarificatrice su alcune circostanze, che rimangono ancora torbide e contestate da più parti. Romanzo di una strage, per la regia di Marco Tullio Giordana, già autore di alcuni film di chiara impronta civile (I cento passi e La meglio gioventù), è il primo tentativo di effettuare una ricostruzione cinematografica dell’intera vicenda. Il film si avvale di un ricchissimo cast (nel quale spiccano Valerio Mastandrea e Pierfrancesco Favino, che nel film vestono rispettivamente i panni del commissario Calabresi e dell’anarchico Pinelli), e di una suddivisione in capitoli, che nelle intenzioni del regista serve a distinguere i fatti accertati dalle supposizioni, le verità dalle ipotesi. Si tratta di un film e non un documentario. Sgombriamo il campo da tutta la situazione filologica scatenatesi in questi giorni. “Romanzo di una Strage” è un film che con gli strumenti della finzione costruisce la realtà. È l’arte che tiene insieme cose che la cronaca e la politica non possono tenere insieme. Molto spesso, anche nei romanzi, per raccontare l'essenza ultima della verità c'è bisogno di una narrazione, di una storia, di un elemento artistico. Stabilito che non si tratta di documentario ma di un film bisogna soffermarsi sul fatto che gli interpreti di questo film sono nati negli anni che il film narra ,fine anni settanta, hanno oggi l'età che avevano allora i protagonisti di questa storia. Quasi come se fosse un'altra generazione a distanza di quarant'anni che reinterpreta e rivive questa storia. Il dato anagrafico è importante, credo che in tutte le vicende tragiche di questi paesi ci sia bisogno di una distanza dalla storia che si narra, una distanza che è quella di nipoti. Sono i nipoti in grado di raccontare le cose come sono andate, questo è successo in Spagna con il franchismo, in Italia con il fascismo ed è quindi molto importante che gli interpreti di questo film avessero zero, uno,due o tre anni quando questi fatti sono accaduti. Poi c'è lo sguardo del registra che è stato un protagonista di quegli anni: Giordana stesso ha raccontato di essere stato testimone diretto durante l’esplosione della bomba a piazza fontana e di essere stato interrogato dall’ispettore Calabresi in qualità di testimone. Eppure egli stesso ha affermato: “Non potevo raccontare questa storia prima, sono dovuti passare quarant’anni” . La distanza temporale per raccontare i fatti, per non essere coinvolti emotivamente;  la narrazione è più efficace quando avviene da parte di chi non era emotivamente coinvolto. Il film racconta di una situazione politica che non è tanto diversa della nostra, nel senso che la consapevolezza della realtà di alcuni uomini politici è ancora oggi molto viva: come stanno le cose, quali sono le dinamiche, gli interessi economici e internazionali, quali sono le ragioni per cui le cose accadono. Sono realtà che si conoscono ma che non si possono dire per ragioni che questo film spiega bene e che sono non nobili e neanche d’interesse collettivo o di un presunto interesse collettivo. Il film è molto didascalico quasi come fosse una pagina di un libro di scuola per le medie,ed è giusto che sia così, la storia che deve essere raccontata in maniera semplice per essere compresa da tutti. Marco Tullio Giordana ha fatto una scelta ben precisa: non raccontare il clima di quegli anni, lasciarlo ai margini. Una scelta coraggiosa,necessaria perché il clima di quegli anni era talmente arroventato che avrebbe spinto il film a schierarsi da una parte. È solo raccontando la storia degli uomini che si possono mettere insieme moltissime tessere di un mosaico sterminato regalandoci la possibilità di guardare il quadro della storia nella sua interezza. Il film restituisce allo spirito del tempo quella necessità di rendere pubblici i documenti coperti da segreto di stato, in attuazione della legge del 3 Agosto 2007. La legge c’è, esiste, mancano i decreti attuativi. Questo paese avrebbe bisogno di verità e giustizia. Forse il governo tecnico Monti potrebbe permettersi di fare questa scelta scomoda e restituire un po' di dignità allo Stato,verità ai familiari delle vittime e alla storia.

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